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All'ombra degl'ippocastani

Gli anni dei ricordi - Prefazione di Pier Antonio Trattenero

Anche Paolo scrive, adesso siamo in tanti, forse troppi, pochi ci leggono, qualcuno ha il coraggio di pubblicare le nostre “storie”. Dico coraggio non perché l’opera di Paolo Maria Coniglio sia meno degna di altre, che rimarranno sempre sconosciute al pubblico, dico coraggio perché la mia è una lode all’editore, perché ha capito che esistiamo anche noi. Di Paolo sono amico, forse lo si era già capito, ma anche collega nella passione per lo scrivere. Paolo scrive con una motivazione semplice ma fondamentale per un buon autore: ha coscienza di un vissuto che non vuole essere solo autobiografico ma frammento di storia vissuta e condivisa.
Il tempo dei ricordi ha durata infinita, il tempo dei ricordi rimane indelebile oscillando tra la mente e la parola scritta. L’ombra egli ippocastani è ampia, accogliente, quelli di Lonigo lo sanno, loro sono abituati agli slarghi infiniti degli orizzonti padani e alla dolcezza delle colline beriche, loro hanno radici profonde come le radici degli ippocastani.
Non è soltanto il bambino interiore, fattosi adulto, che narra l’avvicendarsi delle stagioni della vita, è la storia di una famiglia che, come altre del luogo, ha vissuto con dignità il dolore, e dal dolore ha ricevuto la consapevolezza che la vita è un mistero troppo affascinate per abbandonare la speranza in un mondo migliore.
Non voglio fare ricorso alla parola “valore” intesa nell’accezione di un’etica che governa la vita, sarebbe riduttivo, la storia raccontata da Paolo ha valore per lo scorrere del tempo interiore che, pur agganciandosi ad un preciso momento storico, ne supera la storicità stessa. Il narrare di Paolo  è chiaro, fluente, terso, forse anche semplice, ma quest’ultimo aggettivo gli rende giustizia.
Il cuore non è mai complicato. Minimalismo?
Forse sì, ma oggi siamo tutti minimalisti, anche i nostri maestri vicentini lo sono stati in qualche modo, i Parise, i Meneghello, che noi tutti abbiamo letto, hanno il dato il meglio raccontando magistralmente le cose piccole e semplici della nostra terra.
Anche il minimalismo ha un suo respiro universale, basta percepire il senso del vissuto dei protagonisti di questa storia per capire come ogni vita sia in fondo patrimonio dell’umanità.
Debbo a Paolo ancora una precisazione: è persona umile, proprio come l’ombra dei suoi ippocastani, non invade, accoglie, ascolta, medita.
C’è un passo finale che voglio citare per concludere questa mia prefazione: “Ho visto quanto ha sofferto la mamma senza il papà e ho visto quanto abbiamo sofferto noi per la sua mancanza. Il mistero più affascinante di quegli anni indimenticabili, nel bene e nel male, è quel circolo che catalizzava le persone unendole con forte amicizia”. Oggi sembra che il mondo sia cambiato, sembra che il valore dell’amicizia sia in crisi, Paolo non è forse così ottimista come lo sono io, ma so che all’ombra degli ippocastani si possono ritrovare gli amici, i sorrisi, i pensieri più positivi.
E quando Paolo  tiene per mano la sua famiglia, ritrova la gioia che mai si allontana dal nostro essere anche quando il mondo ci sembra ostile. Dunque proseguiamo il cammino, gli ippocastani ci terranno compagnia e la loro ombra ci donerà quel senso di poesia che dal cuore di Paolo non ha mai smesso di illuminare il suo sorriso.

Opera prima di uno scrittore “per caso”, essa si presenta piena di umanità e di dolce malinconia. Sì, perché i diciassette capitoli del libro si rivolgono tutti al passato, un passato autobiografico che sforna nella memoria dell’autore ricordi legati alla propria infanzia fin su sino alla giovinezza, una vita trascorsa in una delle più belle località venete, la cittadina di Lonigo. A dar corpo ai ricordi sono i vari membri della sua famiglia: il nonno, lo zio, la madre e quello più angusto e doloroso del padre. Essi sono sviluppati nel romanzo-diario nei particolari, incorniciati da un ambiente altrettanto meticolosamente descritto. E la descrizione meticolosa riguarda anche i suoi compagni di giochi, raccontati con notevole vivezza portando alla luce le caratteristiche che li definivano. Descritto come un evento straordinario è l’arrivo della carovana di zingari, gitani, rom che si stanziano per un breve tempo nel “Circolo”, un’ampia piazza al centro dell’abitato. Grandi sono le perplessità, i timori alimentati anche dai pesanti preconcetti, che accompagnano i nomadi. Se ne andranno in ordine, in silenzio e ripulendo il terreno sul quale si erano accampati, in una lunga processione che accompagna un morto illustre della tribù. Va sottolineato infine il valore etico della lettera che Paolo Maria scrive dopo la morte di nonno Dino, quanto la società sta perdendo in impegno e serietà di vita e come solo il danaro ed il potere hanno corrotto anche uomini, che prima basavano la loro esistenza sull’onestà e sull’impegno civile. Un accenno infine alla presentazione dei giochi dell’infanzia, che attribuisce al “diario” un valore etnografico interessante.

Michele Serra - Critico cinematografico

 

«Un grandissimo ovale in terra battuta circondato da giganteschi alberi di ippocastano, diviso in quattro parti, attraversati da due vialoni anch'essi alberati». Così nel libro "All'ombra degl'ippocastani" di Paolo Maria Coniglio (editrice Il Filo, pagg. 128, euro 13,50) viene descritto il Parco Ippodromo di Lonigo, confidenzialmente chiamato "il circolo", teatro di molti dei ricordi del piccolo protagonista del romanzo, che è l'opera prima di Coniglio. Il "circolo" è il punto ideale da cui si dipana la storia che ha per protagonisti un bambino, Pablito, e la sua famiglia, a Lonigo negli anni '60-'70.
Il ricordo dei giochi e delle avventure dell'infanzia e dei più o meno curiosi e strambi personaggi che ogni paese può vantare, s'intreccia armoniosamente in questo romanzo con la memoria della vita vissuta tra le mura domestiche; con quella dei parenti e delle loro storie, ma anche con il dolore legato all'assenza di un padre scomparso tragicamente.
La trama del romanzo è tessuta nei ricordi di un bambino che diventano anche, almeno in parte, i ricordi di tutta una comunità e dei suoi spazi quotidiani, descritti con attenzione e vivacità; ma pure degli eventi "memorabili" come l'arrivo del circo in paese, con il tragico epilogo della morte dell'elefantessa Rosy dagli occhi "grandi e tristi" o l'occupazione del "circolo" da parte di una carovana di zingari.

 

Erica Freato - Il Giornale di Vicenza



Caro Paolo, appena ricevuto il suo libro “All’ombra degl’ippocastani” ho incominciato a leggerlo e, quasi senza accorgermene, sono arrivato alla fine. Segno che la lettura era interessante e piacevole. Come le ho già detto non sono un critico letterario, anzi, in un certo senso sono la negazione del critico, per cui il mio giudizio vale poco.

Premesso questo, ho avuto un’impressione decisamente positiva del suo lavoro, sia per la forma che per il contenuto. Sarà anche per la suggestione della storia che io ben conosco, incombente su un ignaro bambino, ma a me pare che lei, oltre a scrivere agilmente e con pertinenza, narri cose vive, genuine e appassionanti. La ringrazio e le faccio molti auguri per il suo libro, cordialmente



Bruno Meneghello - Scrittore





 

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